La DPG ha infranto tutti i tabù e ogni proibizione che il concetto di “ordinario” richiedeva.
Nell’arco del 2016 accaddero un sacco di cose importanti per la musica italiana: Ghali pubblicò Ninna Nanna, un singolo capace di infrangere il record italiano di ascolti su Spotify nelle prime 24 ore dall’uscita; Luché rilasciò l’ambizioso progetto Malammore, per poi finire nella colonna sonora di Gomorra; Salmo, invece, pubblicò Hellvisback, l’LP che sarebbe divenuto il suo primo album disco di platino.
Ma non è finita qui: Sfera Ebbasta debuttò infatti nella top 10 di cinque paesi europei con il suo primo disco ufficiale, mentre intanto Guè Pequeno e Marracash scrivevano la storia con Santeria, un disco-cult dalle atmosfere equatoriali e sciamaniche, prodotto fra Tenerife e il Brasile.
Eppure, per fornire una descrizione completa di quell’anno di svolta, non si può non parlare anche di un fenomeno che aveva iniziato a manifestarsi due anni prima: la “musica d’avanguardia” della Dark Polo Gang.
Con un parallelismo si potrebbe dire che il 2016 fu per la musica qualcosa di simile a ciò che il 1903 costituì per la letteratura italiana. Se allora con l’Alcyone di d’Annunzio e i Canti di Castelvecchio di Pascoli la parabola della lirica ottocentesca si concludeva e lasciava spazio al successivo fenomeno delle Avanguardie, qui in Italia nel 2016 ebbero la loro epifania i primi esempi di rap destrutturato e volto alla rottura con la tradizione precedente.
Nel corso del 2016 il fenomeno Dark Polo emergeva facendosi storica cesura e, per citare Axl Rose in It’s so easy, “colpiva nel segno” proprio come gli artisti che, agli albori del “secolo breve”, tentavano di emergere stornando gli estremi riverberi del Decadentismo attraverso la sperimentazione.
Al tempo di cui parliamo il collettivo romano era ancora quello della formazione originale: Dark Side, Pyrex, Tony Effe e Wayne: quattro ragazzi che dal giugno del 2015 avevano iniziato a sconvolgere i canoni dell’hiphop italiano, rendendo disponibile in freedownload Full Metal Dark, il loro primo album.
Ed ecco che si chiarifica il paragone con le Avanguardie: la DPG si proponeva di infrangere tutti i tabù e ogni proibizione che il concetto di “ordinario” richiedeva nell’hiphop, proprio come quei movimenti artistici che all’inizio del XX secolo tagliarono definitivamente i ponti con le forme di manieraimperniate sul rapporto emulativo col passato.
La Dark, anzi, portava alle estreme conseguenze – un po’ come fecero i futuristi col linguaggio poetico canonico – il rifiuto delle istanze passate; l’errore metrico diveniva norma, l’assenza del contenuto era ridondante e reiterata fino alla nausea, il tasso di narratività (o storytelling) era ridotto a zero, e il linguaggio si spingeva a comparazioni precedentemente impensabili (“Ai piedi Valentino rosa come fossi una bimba” cantava Tony in Mafia).
Ma questo era scritto già nelle origini del gruppo: basti pensare che, per i quattro del gruppo, i soldi non erano motivo di riscatto sociale, ma solo di vanto. Non c’era infatti alcuna periferia nella loro esperienza pregressa, ma solo il luccicante centro storico di Roma fra Monti e Trastevere.
Ascolta ora “Full Metal Dark”
La vera rivoluzione – comunque – arrivò con i tre album successivi del collettivo, di cui Full Metal Dark non era che un antipasto: nel 2016 avrebbero infatti pubblicato i tre mixtape Crack Musica (di Tony Effe e Dark Side), Succo di Zenzero(di Wayne) e The Dark Album (di Pyrex).
In questi album la Dark Polo Gang rivoluzionava il beat attraverso le mani da re frigio di Sick Luke, proprio come nel XX secolo la dodecafonia di Arnold Schönberg destrutturava la scala armonica che, seppur erosa, ancora resisteva nella musica di fine Ottocento.
«Per me il 2016 è stato l’anno in cui ho capito davvero chi sono», ci ha detto lo stesso Sick Luke.
«Insieme alla Dark ho trovato un sound che non è mai esistito in Italia, perchè in quell’anno la musica che usciva era sempre uguale. Abbiamo cambiato semplicemente le regole del gioco. E se adesso l’Italia è quello che è grazie a noi. O grazie a me che sono il beatmker più forte d’Italia bitch!».
Ma il gruppo non si limitava a questo. I quattro rapper romani ribaltavano lo stile codificato dal Truce-Klan o dai Colle der Fomento (gli storici campioni dell’underground capitolino) così come il cubismo di Picasso tentava di rompere in modo definitivo il legame con la prospettiva rinascimentale.
E forse è anche per questa ragione che in un primo momento ebbero maggior successo a Milano piuttosto che a Roma: il pubblico dell’Urbe, storicamente meno aperto allo sperimentalismo, forse non era ancora pronto a cogliere il grande cambiamento che la DPG gli sbatteva in faccia con arroganza e strafottenza.
Oltre al nuovo sound, in ogni caso, bisogna considerare un altro dei maggiori punti di forza del collettivo: il nuovo immaginario straordinariamente inclusivo che la “Gang” prospettava e proponeva al pubblico.
Prima di tutto, i quattro modificarono totalmente l’estetica del rapper, ergendosi a novelli G.B. Brumell, l’arbiter elegantiae londinese che fu promotore del dandismo nel XIX secolo. In tal senso forse è ironico che uno dei brani più di successo del gruppo sarebbe divenuto, alcuni anni dopo, proprio British.
Comunque, i quattro iniziarono a esibire in modo sfrenato i propri capi firmati, contribuendo significativamente al legame che sarebbe andato fortificandosi fra il mondo del rap e quello delle maison d’alta moda.
Ma al contrario di quel che il carattere elitario della moda potrebbe far pensare, questa non fu una scelta “esclusiva”. Loro richiamarono l’immaginario gender-fluid, che in quell’anno si diffondeva in America attraverso artisti come Young Thug, e la portavano a tutti – come vedremo più avanti – con l’Aesthetic di rapper come $uicideboy$, Bones, PNL e Young Lean e in generale di un movimento culturale (la Vaporwave) diffusissimo nel mondo.
Ma all’immagine mostrata ai seguaci bisogna aggiungere anche un altro elemento: come ogni movimento di rottura – si pensi per esempio ai Cantores Euphorioneslatini rispetto ai loro predecessori – c’era anche una componente d’innovazione linguistica importante.
Infatti il collettivo definiva ironicamente il proprio linguaggio “alieno“, riferendosi alla miscela di neologismi, favella rionale e slang quasi vernacolare in urto con il dire passato, che tutt’ora i componenti usano sia nella musica che nei social. Un esempio può essere “Bufu“, la parola lanciata in Italia proprio dalla Dark e riconosciuta anche dai Cruscanti come ormai propria del lessico nostrano.
Ma se la creatività linguistica e il gusto estetico li facevano apparire estremamente interessanti, la ὕβϱις (ovvero la tracotanza) di sovvertire ogni codice e qualsivoglia topos del genere li rendeva irresistibili.
Al coraggioso abbandono della mascolinità, compiuto con superba sfacciataggine e nonchalance spiccata, corrispondeva una riscrittura di ciò che è cool, raffinato e alla moda: grazie alla loro tronfia potenza comunicativa, mandare “bacini” diventava il miglior modo per affrontare gli haters, mentre baciarsi in bocca fra membri dello stesso collettivo non era solo normale, ma appariva anche come la cosa più giusta e ovvia che potesse accadere.
Insomma, l’eccentricità della Dark sconfiggeva addirittura l’omofobia, e seppur facendo storcere il naso a qualcuno, essa si rivelava – come volevasi dimostrare – incredibilmente inclusiva.
Ma la cosa veramente incredibile è che il collante per la nuova frangia di pubblico a cui il gruppo diede vita fu l’odio di coloro che si ponevano con ostilità nei confronti della band stessa e dei suoi ascoltatori.
Il disprezzo sociale trovava un muro nell’irriverenza provocatoria della Gang; col suo fare eccentrico essa diveniva un sereno garante della liceità d’ogni differenza per tutti coloro che avevano l’ardore di dichiararsi suoi ascoltatori mediante l’esibizione della sua estetica e del suo linguaggio (di qui l’amore fanatico e quasi visibile dei piskelletti dark).
Per dirlo in termini junghiani, la Dark Polo Gang tramutava carismaticamente la propria Anima in Persona: ciò significa che “l’atteggiamento verso l’interno” della propria individualità (ovvero quello sentito come non esternabile e dunque “complementare” alla Persona stessa) prendeva il posto de “l’atteggiamento verso l’esterno” (e dunque il socialmente consentito).
E sempre in tal senso forse è possibile spiegare anche la genesi – oltre che del grande amore dei fan – dell’astio iniziale provato dai più: calpestando questi tabù la Dark smascherava infatti l’aspetto più intimo e percepito come meno degno d’esistere di ognuno dei suoi detrattori, rivelandolo ai loro stessi occhi.
Guarda ora “Mafia”
Il primo album uscito dopo Full Metal Dark fu Crack Musica (10 marzo 2016), di Tony Effe e Dark Side. Il lavoro fu anticipato da diversi singoli, che poi si dimostrarono essere anche i brani più significativi del progetto: Crack Musica, Swisher, Neve A Settembre, Mafia, Super Sayan e soprattutto Cavallini con la presenza di Sfera Ebbasta e Charlie Charles. Questo, in particolare, fu il brano che diede loro la maggior visibilità raggiunta fino ad allora.
L’album era aggressivo, arrabbiato, assai violento, e – come s’intende dal titolo – si prefiggeva l’obiettivo di rendere assuefatti gli ascoltatori. Ma ci è davvero riuscito? Probabilmente sì, vista la recente rievocazione di quell’immaginario (non esplicita seppur evidente) da parte di uno dei collettivi in maggiore ascesa dell’ultimo periodo: la FSK (che ha ripreso senza troppi problemi il bacio in bocca e il riferimento tanto crudo ed esplicito alle droghe). https://youtu.be/F-U7ApqO7e0
Rimasto per i fan del gruppo romano un cult, Crack Musica è una delle migliori espressioni della capacità del gruppo di descrivere la propria realtà, colmandola di una contingenza vuota ma fulgida.
Ascolta ora “Crack Musica”
“Quando scrivo una canzone dico solo quello che sto pensando sul momento. Oggi posso di’ che mangio il pollo al curry e non mangio sushi, e domani il contrario“, diceva Side Baby a Noisey.
Parole queste che esemplificano bene una caratteristica dell’album (e della poetica “darkesca” in generale): Crack Musica infatti rispecchia perfettamente la velocità pregnante del decennio in cui è stato pubblicato, radicata nei quattro rappers (insieme all’insofferenza avanguardistica per le convenzioni passate) tanto da indurli all’ormai proverbiale “abbandono della rima“.
Ormai, nella loro ottica, non c’è più il tempo di prestare attenzione alla regola (soprattutto se costitutiva del genere): il rap diventa uno stream of consciousnesssconnesso e rotto, quasi come un novello monologo interiore di una Molly Bloom grezza, ruvida e street, in cui non v’è spazio né per idee e riflessioni né per l’elaborazione artistica e specificatamente lirica, ma solo per la ripetitività esasperata di contenuti nulli e già noti.
Guarda ora “La Nuova Scuola: Roma Dark”
Dopo Crack Musica il collettivo non smise però di innovare. In risposta all’accelerazione consumistica post-Anni Zero, in tutto il mondo andava intanto diffondendosi per contrasto un indirizzo estetico-musicale ben preciso: la Vaporwave. È a questo immaginario che è ascrivibile l’estetica del disco di Wayne, Succo di Zenzero (Maggio 2016).
Fin dalla copertina dell’album questa suggestione risultava evidente: frutto dell’accostamento di colori sgargianti (come il rosa, segno del mondo illuminato dal progresso tecnologico e dai neon metropolitani) e di colori cupi (come il blu, che diveniva simbolo della depressione dai suoni Lo-Fi del millennials), la cover presentava anche l’uso dei kanji (i caratteri giapponesi), che secondo il vocabolario Vaporwave riprendono l’universo cyberpunk distopicamente industriale. https://www.instagram.com/p/B01VD-EFG5h/?igshid=znw9zy1lmrjy
Inoltre, al busto di fattura classica tipico del suddetto immaginario – busto che dovrebbe rimandare all’ansia derivante dalla continua ricerca di una perfezione di proporzioni e a una bellezza inarrivabile – si sostituisce la figura del rapper, come icona autoironicamente irraggiungibile poiché artificiale. Ecco che dunque si individuano i solchi in cui s’inseriscono brani come Passala, Gioco dell’Uva o Nuvole che spiccano per le sonorità più chill e rarefatte.
Certo, l’album ha poi diversi brani che ritornano nell’orbita della trap per come è tutt’ora intesa (si vedano Aldilà o Beatles per esempio), ma certamente costituisce un esempio di variazione rispetto anche ai termini canonici della trap romana, stabiliti – in fondo – dalla stessa DPG.
Inoltre, non bisogna ignorare che quell’immaginario poi sarebbe stato riadottato sia esteticamente che musicalmente anche per Trap Lovers, l’ultimo album rilasciato dal collettivo.
Ascolta ora “Succo di Zenzero”
Ultimo mixtape dell’anno fu The Dark Album (31 ottobre 2016), di Dark Pyrex. I server, dopo la pubblicazione del disco in freedownload, saltarono e furono inutilizzabili per diverse ore. Il motivo? Perché era uno dei dischi più attesi dell’anno.
La figura di Pyrex, già di per sé misteriosa, era anche quella che faceva speculare di più il proprio pubblico, soprattutto dopo la pubblicazione di due brani dalle caratteristiche ben distanti come Principe Pyrex e Toro Meccanico.
Nessuno sapeva cosa ipotizzare, ma i fan temevano un amalgama troppo eterogeneo e mal gestito. Pyrex tuttavia non li deluse: il disco era tutto fuorché confuso. Dopo brani come Dark Boy (in cui il sound più violento del disco schiaffeggia senza alcuna pietà il piskelletto dark che lo ascolta estatico), Oxy e Latte di Suocera arriva il momento di uno dei brani più noti del collettivo: Sportswear.
Guarda ora “Sportswear”
Il banger porta finalmente alle orecchie di tutta Italia il collettivo e lo consacra definitivamente.
Questo è l’ultimo passo dell’inarrestabile ascesa della Dark Polo Gang perché, ammettiamolo, nessuno di noi dopo averlo sentito, seppur magari turbato dalla mancanza tecnica del testo, ha saputo resistere dall’ascoltarlo.
Ringraziamo Sick Luke per la disponibilità
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