L'ultimo album da indipendenti e, forse, il primo nel cuore dei fans.
Il 2006 per il rap italiano fu un periodo di grande cambiamento. Dopo gli anni bui tra fine ’90 e inizio ‘2000 a raccoglierne le macerie e ricostruirne le fondamenta ci avevano pensato Fabri Fibra con “Mister Simpatia” e i Club Dogo, che con l’album “Mi Fist” ebbero un effetto dirompente all’interno del panorama rap nazionale.
Proprio la band milanese – composta da Jake La Furia, Gue Pequeno e Don Joe – era richiamata a confermarsi come una delle realtà più promettenti del circuito rap nostrano.
L’attesa nell'ambiente dopo “Mi Fist” era alle stelle. Sebbene mancasse l’attenzione degli organi gli stampa odierni, tra gli addetti ai lavori e il (ristretto) pubblico di allora si aspettava con ansia il nuovo lavoro dei Dogo. I forum dedicati al rap erano colmi di commenti a riguardo, il passaparola in strada si faceva sempre più fitto, e le prime indiscrezioni circolavano tra gli utenti a colpi di messaggi su Msn. I social – nella maniera in cui li intendiamo noi – muovevano i primissimi passi e le poche informazioni a disposizione le si potevano trovare grazie ai pochi siti e blog di settore. Erano altri tempi.
Mentre di lì a poco Fabri Fibra sarebbe entrato prepotentemente nel circuito mainstream italiano col brano “Applausi per Fibra”, dalle viscere dell’underground italiano Jake, Gue e Don Joe affinavano le armi e si preparavano al grande salto.
Penna Capitale fu un classico istantaneo e anche il loro ultimo album da indipendenti. Era la perfetta sintesi tra i Dogo “di battaglia” di “Mi Fist” e quelli più “party oriented” e disimpegnati degli anni a venire.
Per comprenderlo basta prendere il disco dai due poli opposti: Cani Sciolti Remix e Briatori.
Nella prima traccia la band milanese era riuscita con grande abilità a misurarsi con un classico della golden age italiana ottenendo una duplice finalità: dar il giusto tributo ad un pezzo pilastro del genere e al tempo stesso consegnarlo ad una nuova vita. Jake e Gue riuscirono, infatti, a rinfrescare il pezzo dei Sangue Misto mantenendone, con grande efficacia, la violenza espressiva.
“Abbiamo avuto il piombo, il fango ed ogni giorno le nostre mani si fanno tagli grattando il fondo” – Cani Sciolti Remix
“Briatori”, invece, rappresentava – con una giusta dose di ironia – l’altra faccia della band milanese: la ricerca ossessiva dello swag, del primeggiare e del successo. Caratteristiche che rispecchiavano perfettamente una figura come quella di Briatore: l’immaginario dell’uomo di potere, del vincente che vive nel lusso circondato da belle donne. Un immaginario a cui i Club Dogo intendevano avvicinarsi sempre con maggiore insistenza.
Voglio andare in giro a spende-spenderli. Voglio stare nel privè coi V.I.P.
E girare sulla Lambo, Monte Carlo, posto caldo. Ma restiamo sempre qui. – Briatori
Tra due estremi così ben definiti troviamo tutta una serie di tracce dal contenuto eterogeneo, nel quale un ispiratissimo Gue Pequeno e un Jake la Furia in stato di grazia si incastravano perfettamente nel tappeto sonoro cucito ad arte da Don Joe. Quest’ultimo, costruì un sound farcito da campionamenti e synth che riprendevano gli anni’80, motivo per cui fu incoronato come uno dei producer più abili della scena.
Inoltre, l’album ebbe il merito di presentare, ad un pubblico più amplio, colui che sarebbe diventato uno dei liricisti più validi della scena: parliamo di un certo Marracash, presente nella prima traccia del disco “D.O.G.O”. Attraverso un linguaggio esplicito, riferimenti alla droga e alla vita di strada i Club Dogo – ma sarebbe meglio citare l’intera Dogo Gang – costruirono un immaginario a cui i rapper successivi avrebbero attinto a piena mani.
Guarda ora Club Dogo Feat. Marracash “D.O.G.O.”
Ma “Penna Capitale” era anche altro.
Non mancavano infatti momenti più introspettivi come “Cattivi e buoni” ma soprattutto come “Una volta sola” dove i Dogo mostravano un livello di maturità espressiva fino a quel momento sconosciuto. Il nucleo tematico del pezzo ruotava al concetto di rivalsa: il protagonista era colui che, nonostante fosse in una condizione di svantaggio, trovava la forza per ribaltare un destino già indirizzato verso la mediocrità per migliorare la propria esistenza e posizione nel modo. Un concetto in cui era naturale immedesimarsi e che garantì un ottimo riscontro della traccia, sempre in proporzione coi numeri dell’epoca.
Tuttavia sebbene non mancassero anche nei pezzi più violenti riferimenti al desiderio di soldi e successo, brani come “Falsi Leader” – “La notte che rovesciammo l’ordine” risentono ancora dell’influenza incendiaria del primo album. Un album che nonostante alcuni episodi più disimpegnati e introspettivi, mantiene una forte impronta politica e sociale; la stessa traccia di apertura “Niente per niente“ non lasciava spazio a dubbi.
Nel 2003 Caparezza cantava «il secondo album è sempre più difficile nella carriera di un’artista» e la storia della musica era costellata di artisti che, dopo il botto iniziale, non erano stati in grado di mantenere le attese. Confermarsi dopo “Mi Fist” non era sfida facile, ma i Club Dogo riuscirono in questa impresa.
“Penna Capitale” non solo ripagò le attese, ma è il disco della svolta in cui si forgiano i "veri" Club Dogo. Qui li troviamo con un loro immaginario più centrato e uno slang specifico, più consapevoli del loro ruolo all'interno della scena e dei loro mezzi tecnici; meno legati alla tradizione del rap italiano rispetto a "Mi Fist", con la giusta fotta ed esperienza per imbastire un proprio filone che sarà seguito da tantissimi artisti negli anni successivi.