Il peso del primo disco grava sulle spalle di un artista per tutta la carriera. Con “DNA” il rapper di Baggio è andato oltre il suo prequel?
«Quanta ragione aveva chi diceva che il secondo album è difficile. Ci ho messo tutto me stesso. Buon DNA».
Il viaggio del nuovo Ghali parte così, con un augurio per i fan e la voglia di far ascoltare tutta l’energia messa in gioco per realizzare il secondo atto della sua storia. Non era facile: l’assetto della scena è molto cambiato dagli anni di “Dende”, “Cazzo mene” e “Wily Wily”. Per stessa ammissione del rapper, dopo le vette di “Cara Italia” non sono mancate buone prove e sfilate, ma nemmeno i momenti difficili (“Compro villa a mamma con un pezzo pop/ Anche se l’ultimo anno ho fatto qualche flop”, rappava in “Vossi Bop RMX”).
Guarda ora Cara Italia
Eppure, dopo fisiologici periodi di pausa e qualche caduta inscenata appositamente a Sanremo per chiudere il cerchio, al game italiano è stato servito sul piatto un album che ha molto da dire, e lo fa in maniera intelligente e coinvolgente; qualità che d’altro canto aveva rappresentato uno dei massimi punti di forza della penna di Ghali al momento dell’exploit.
Ascolta ora "Album"
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Le incognite avevano il loro peso, considerato che “DNA” si ritrova orfano di Charlie Charles, quindi del suono che lo aveva consacrato. Quasi una cesura simbolica con il filone del 2015/2016, che passa anche per la rottura col producer di “Bimbi”, come se Ghali si fosse dovuto ritagliare un nuovo spazio ad hoc per mettere a punto una nuova dimensione artistica.
Frattura, pausa, addio o arrivederci che sia, ci riguarda poco. Anche perché “DNA” abbonda di spunti di riflessione e formule artistiche da vagliare con attenzione, dall’apporto di Mace e Venerus ai feat internazionali di spessore. Certo è che Ghali non potrà più aggirare il peso del fardello del primo disco. Tocca a tutti gli artisti. La domanda spetta soprattutto ai fan di Ghali, i veri viandanti del viaggio che il rapper ha confezionato: nel loro cuore, “DNA” supererà “Album”?
Ascolta ora DNA
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C’erano due avvoltoi che sorvolavano “DNA” prima dell’uscita: l’assenza di Charlie Charles e il rischio di ambiguità. La questione della sonorità attorno ad un album non faceva così scalpore in Italia da mesi, ed è paradossale se si considera da quanto i due non lavorino più insieme. Il punto è che nella testa dei fan il punto di contatto tra le due facce della trap italiana (Sfera e Ghali) era proprio Charlie. Tolto lui, non si sa bene cosa riserva il futuro. Più che altro perché a vedere dove sta arrivando Sfera, il lavorone fatto con Dardust e la vertiginosa mole di certificazioni messe in bacheca, i dubbi sulla sua imprescindibilità aumentano.
L’ambiguità si lega al primo punto. Quale futuro per Ghali? A quale dimensione artistica ambire? Quanto spazio si è presa il glamour nella sua vita? Cosa gli serve? Un singolo forte o un album solido? Latin music o trap cupa? I tempi sono maturi per tentare il definitivo salto internazionale o quel treno rischia di essere perso per sempre? Per fugare ogni dubbio in merito, “basta” fare delle scelte, e metterle bene in chiaro. Proprio come fece Sfera con certi featuring.
Partiamo dal primo ostacolo, che sembra superato a livello qualitativo con l’appoggio di Mace e Venerus, firmatari di una grossa fetta del suono del disco. Una torta variegata, ricca di inventiva, ma estremamente equilibrata. Che, alla fine, è proprio ciò verso cui un disco di qualità dovrebbe puntare per rimanere nella memoria del pubblico. La coesione aiuta a interiorizzare un disco in mezzo a quest’offerta assordante. Ecco perché Venerus e Mace hanno saputo far “dimenticare” il vuoto lasciato da Charlie.
“DNA” ha qualità anche perché il lavoro sul suono è di livello. Spingere Ghali verso il club-rap con “Boogieman” (co-prodotta da Zef) è un’intuizione che ha pagato a livello mediatico, e che suona spontanea, aprendo nuovi orizzonti per il futuro. Probabilmente era questione di tempo prima che Ghali arricchisse il proprio repertorio con scelte di questo tipo. Lode a Mace per averlo spinto con forza in quella direzione. In generale, lode a una ricerca che porta ad un risultato completo, forse più maturo rispetto al passato.
D’altro canto il producer non è nuovo a queste silenziose rivoluzioni. Basta ascoltare le sue produzioni in dischi come “Sinatra” o “Santeria” per scovare perle davvero luminose e lungimiranti. Non dimentichiamoci poi la presenza di prestigio di Bijan Amir, co-autore di una delle massime hit americane del decennio (“Ric Flair Drip” di Metro Boomin e Offset).
Il secondo punto su cui questo album doveva lavorare era il target: non tanto inteso come pubblico a cui rivolgersi, ma come obbiettivo da realizzare per consolidare la propria caratura artistica. In questo senso, i confini giocano un ruolo primario: superarli o rimanervi all’interno detta ormai i tempi di una carriera. Si può pensarla come Marracash (restio all’esportazione) o come Sfera (la via per il riconoscimento indiscutibile). Non si tratta di capire quale delle due scelte sia migliore dell’altra. L’importante è imboccare una direzione con le idee chiare senza lasciare inesplorato il proprio potenziale. Tradotto, puntare su una strategia.
La scelta di Soolking, in questo senso, è cruciale, perché fa capire molto del Ghali che sarà, ancor più della presenza di Mr Eazi. Lo stesso si poteva dire del remix di “Vossi Bop”, forse più indicativo del prestigioso incrocio artistico con Ed Sheeran e Travis Scott. Il pezzo con Stormzy e “Jennifer” daranno tantissimo a Ghali, perché puntelleranno la risorsa più importante su cui un rapper deve investire i propri sforzi: il posizionamento. Il franco-algerino Soolking è un indizio preciso, sia in termini di universo artistico (il rap in francese) che sottolinea il taglio dato a “DNA”, sia come indice della fetta di artisti e di rap game a cui il rapper di Baggio strizzerà l’occhio, più orientati a Francia e Benelux che al Sudamerica (strada presa da Sfera e in un certo senso anche da Capo Plaza). L’album è un passo in avanti che fa un po’ di chiarezza per il domani: è un fattore che ci suggerisce dove si inserirà Ghali a livello internazionale, e che fungerà da portfolio per il suo pubblico futuro.
Guarda ora Guerrilla
Dire se “DNA” è meglio di “Album” in assoluto è troppo presto. Serve tempo per capire quanto i brani di punta del disco resteranno; un tempo che “Album” ha avuto e di cui ha potuto beneficiare negli ascolti del pubblico. In quel caso si poteva parlare di un vero e proprio hit-project. La tracklist era ricca di banger che vivevano al di là della cornice. “DNA” ha i suoi pezzi forti (“Marymango” è forse la hit più solida), e le liriche mantengono certe costanti familiari del passato pur snellendo altri punti; tutto questo, però, non si è ancora scontrato col fattore tempo, per cui qualsiasi discorso sul “meglio o peggio” sarebbe prematuro.
Ma se consideriamo il modo deciso con cui le due massime incognite che aleggiavano minacciose su “DNA” sono state scacciate, si può ammettere che quest’ultima fatica è nella direzione giusta per non sfigurare di fronte al monolitico “primo disco”. Da sempre croce e delizia per ogni rapper. I Dogo ne sapevano qualcosa.