Perchè alla fine dei conti ha vinto Jigga.
Essere un buon imprenditore contempla, il più delle volte, l’essere un visionario. Ma lungimiranza a parte– e lontano anche dalla sua interpretazione polisemica – essere un leader non si esaurisce nella qualità e nel relativo successo delle proprie idee.
L’attenzione è rivolta al processo mediante il quale si arriva a quell’idea: è stato inclusivo, partecipativo o autoritario? Quali persone ha coinvolto e perché? Su di esse sono state utilizzate leve amorali o tutti hanno beneficiato dei medesimi vantaggi?
La finalizzazione di quel colpo di genio è stata per Damon Dash Roc-A-Fella Records e, quei rumors, non tacciono nemmeno oggi.
Per quanto l’etichetta fosse equamente divisa tra Damon e Jay-Z (con un terzo socio silenzioso, Kareem Burke) gli anni passati sembrano confermare la teoria che il motore immobile di tutta la label fosse proprio Dame e la fruttuosa partnership con Priority – distributore dei primi dischi di Mr. Carter.
La situazione nel ’95 era più o meno questa: nonostante qualche comparsata in tracce con Jaz-O e Notorious, il prodotto Shawn non era ancora sufficientemente appetibile per guadagnarsi un contratto. L’innegabile capacità persuasiva di Damon però, convinse la Payday Records a foraggiare i video di “Reasonable Doubt”, primo album di Jay che non ottenne immediatamente il successo commerciale, ma generò consensi tali da supportare il suo rap nascente e consentire, con gli introiti del disco, l’espansione della società Roc-A-Fella.
Dall’avere J come unico artista, arrivarono a DJ Ski, Memphis Bleek e firmare, quasi – a causa della tensione generata dal sample in “Dead Presidents II” – Nas.
Furono i successivi due anni a segnare il punto decisivo: con un accordo di distribuzione pari a 50/50 la Def Jam acquistò le quote dell’azienda per $ 1,5 milioni, nuovi artisti si unirono all’etichetta e Jay conquistò la prima certificazione platino RIIA.
Il nuovo millennio fu l’acclamazione pubblica del loro successo e la maggior parte dei prodotti RAF scalò le classifiche Billboard, ottenendo il disco d’oro per le oltre 500.000 copie vendute(“The Understanding” e “The Professional 2”). Roc-A-Fella stava pubblicando musica, film e possedeva una linea di abbigliamento; quantificare il valore del marchio al suo apice è pressoché impossibile. Ma sebbene tutti stessero godendo della fama dovuta agli artisti che firmarono, da Beanie Sigel e Freeway a Kanye West, iniziarono a circolare voci sul fatto che ci fossero problemi nel paradiso di Big Pimpin.
I rumors riportavano il malcontento di Jay-Z sul comportamento di Dame davanti ai media e sull’egocentrismo della sua persona; di tutta risposta Dash lamentò l’inaccessibilità del socio investito da una fama che, a detta sua, non sapeva gestire.
L’unica certezza sulla vicenda è che i rapporti si incrinarono drasticamente dall’aprile 2000. Dash approfittò dell’assenza di Jay (allora in Europa a godersi i risultati di “The Blueprint2 The Gift & The Curse”) assumendo via via un ruolo sempre più centrale, non curandosi dei soci e delle loro volontà. Ad insaputa dell’intero roster firmò tempo dopo – siamo nel 2003 – l’avanzamento di Beanie Sigel e Cam’ron a vice presidenti.
Nel frattempo, il corteggiamento inizialmente declinato della Def Jam si fece più insistente: Antonio Reid, presidente e amministratore delegato dell’etichetta figlia Universal, contava di lasciare la carica e cedere il ruolo a Jay-Z. Proposta che si concretizzò prima con la vendita delle sue sole quote alla DJ e poi con una strategia che si dimostrò più che vincente – premeditazione che gli è costata negli anni non poche polemiche.
Convinse infatti Dash e Burke a fare lo stesso, sostenendo che la cessione delle loro quote ($ 10 milioni ciascuna) ad un gruppo tanto importante non avrebbe fatto altro che giovare a Roc-A-Fella. E in effetti fu così, ma solo per Carter: nel dicembre dello stesso anno comunicò l’intenzione di diventare CEO della società – oramai interamente Daf Jam Recordings. La mossa che rilegava a meri dipendenti quelli che un tempo erano stati i fondatori dell’impero che aveva in mano, rinnegava la subordinazione ad una sola condizione ovvero che l’intera proprietà dei master di “Reasonable Doubt” finisse per essere esclusiva di Jay.
Inutile dire che i due, rifiutando, segnarono la loro fine.
Dash e Burke misero in piedi una nuova etichetta, la Dame Dash Music Group, ma ebbe vita breve considerando che la maggior parte degli artisti giurarono fedeltà a J ed al suo predominio commerciale: Kanye, Bleek, i Young Gunz, Sparks. Tutti i nomi di maggior prestigio lo seguirono.
Diventò nel 2005 unico proprietario della Rocawear – valutata più di 500 milioni di dollari – e continuò nel ruolo di presidente in Daf Jam fino al 2008 quando diede le dimissioni per affiancarsi a Roc Nation e firmare, dopo essersi svincolato per $ 5.000.000 dalla DJ, una sponsorizzazione decennale con Live Nation dal valore di $ 152 milioni.
Mentre Jay ha finito per ricoprire il ruolo del magnate da lodare e replicare più di chiunque altro, Dame sembra essere solo colui che non è stato ugualmente bravo ad amministrare la fortuna, passando dalle pagine di Forbes con un patrimonio da oltre 50 milioni di dollari, ad un debito IRS da 2 milioni. Ma questo è quello che accade quando il successo viene semplificato eccessivamente, facendo perdere le sfumature e ignorando le lezioni intelligenti che la storia – qui la vicenda – ci offre.
Sì, perché il contributo di Damon Dash ha plasmato, in parte, quello che oggi è il modello di business nel rap. Inoltre, i media hanno fatto un lavoro decisamente migliore con l’immagine del Jay imprenditore rispetto alle liste delle sconfitte DD.
Lontanissimi dal discuterne il talento più che palese in diversi settori – di cui per altro ho già parlato – Complex stilò qualche anno fa un articolo interessante, definendo “sorprendenti” alcune strategie adottate da Jay nei suoi affari. Riassumendo sottolineava la tendenza alle partnership piuttosto che all’avvio di società ex novo, ottimizzando la resa scegliendo aziende o marchi in qualche modo “sfavoriti”, che potessero beneficiare del suo contributo con un margine più ampio dei concorrenti. Un percorso simile in principio è stato fatto da Drake e Kendrick Lamar.
Dame a differenza, non è mai stato un tipo da gioco di coppia, anzi.
Sicuramente non si può non considerare il cambiamento al quale abbiamo assistito nell’ultimo decennio: il mercato si è spostato dalla proprietà ad un modello di business condiviso. Una dicotomia che si sviluppa su un dilemma classico: vuoi essere re o diventare ricco?
Credo sia chiaro a tutti chi vesta il ruolo di chi tra Jay e Dame, ma cosa sarebbe oggi l’industria musicale se a vincere fosse stato Damon Dash?