''Ho Fatto tardi'' dimostra che Jack è ancora vivo.
“Milano è Jake, Milano è Jack, Milano è Bassi” cantava Nerone nella sua “Emme I” uscita nel 2017. Qui omaggiava Milano, citando tre degli artisti che più l'hanno rappresentata e raccontata nei loro pezzi. Milano è Jack the Smoker, Smeezy Boy, che torna a usarla come sfondo per il suo nuovo album: ”Ho fatto tardi”. A 4 anni da “Jack uccide” questo lavoro unisce old e new, critica e autobiografia ma è soprattutto un viaggio nella storia di Jack che ci racconta, nel bene e nel male, di una vita passata a fare tardi.
“Tu non sei un artista da un disco all'anno. Nell'ultimo periodo le uscite musicali seguono sempre di più questa logica di mercato. Questa cosa ti ha toccato o rimani fedele al tuo modus operandi?“ domando. “Indubbiamente a livello strategico non è la cosa più saggia in assoluto” risponde Jack. “Però io ragiono un po' nei termini di fare un disco nel momento in cui ho qualcosa di importante da dire, qualcosa di nuovo da aggiungere al mio percorso. Chiaramente uno si auspica di uscire una volta all'anno ma veramente è tutto legato all'avere qualcosa di significativo. Io comunque ho già fatto parecchia roba nel mio percorso e adesso, dopo un periodo che mi sono preso un po' di riflessione, di scrittura ma senza pubblicare, ho deciso di intensificare un po' la faccenda... anche perché ho voglia di lavorare sulla mia roba, di ricominciare col disco nuovo, che non sia una tappa che poi mi farà fermare”.
”Qual è stata la miccia che ti ha portato a scrivere “Ho fatto tardi?” chiedo e Jack racconta: “Io ho fatto l'ultimo disco 4 anni fa. Poi, poco dopo, ho conosciuto Dani Faiv che era un emergente e ho passato un po' di tempo a lavorare con lui, anche perché mi stimolava l'aspetto del produttore esecutivo. Abbiamo fatto il disco “The Waiter” che è suo ma lo ritengo anche un po' mio dal punto di vista di costruzione del lavoro, di limare pezzi, insomma c'è stata una direzione artistica molto attiva. Poi ho cominciato a scrivere per il disco e ho fatto dei pezzi che però non seguivano del tutto la linea che volevo avere, e poco dopo ho accettato Machete Mixtape. Diciamo quindi che questa del dico è una miccia che si è accesa piano ma che poi ha avuto una velocizzazione nell'ultimo anno. È qui che ho trovato la quadra ed è stato abbastanza po facile dire tutto, poi c'è stato il lockdown ma il disco era già praticamente pronto”.
“Il titolo, “Ho fatto tardi”, può essere anche uno sbeffeggio a questa logica di mercato di cui parlavamo prima?” domando. “Ma volendo si. Poi in realtà è un titolo molto interpretabile” chiarisce Jack, “qualcuno mi ha detto:” allora hai detto ho fatto tardi perché non pubblichi cose da tanto” ma è più una fotografia di quello che dico nel disco: Ho fatto tardi con gli amici una sera fuori, ho fatto tardi con una ragazza, ho fatto tardi in tanti aspetti. Diciamo che è il concept di base del disco anche se non parlerei proprio di concept ma più di Fil Rouge, un filo conduttore. Però non è esattamente uno sbeffeggiare quella roba lì anche se una frase così ampia può farlo pensare”.
Un'immagine che torna spesso è il ricordo della gioventù, dell'infanzia di Jack. Pezzi come “Non ho mai” o “Torna su” rievocano situazioni autobiografiche di una realtà che lo ha formato, anche nella scrittura. Chiedo: “Quanto è importante per te mantenere vivo il ricordo di come tutto è iniziato anche nella musica?”
“Per me molto” afferma. “È spesso presente nei miei pezzi, nei miei dischi precedenti, questa componente autobiografica, non nostalgica ma rievocativa del passato che mi ha portato fino a qua. Vedo comunque tanto la contrapposizione fra le dinamiche dell'infanzia, della gioventù come momenti di spensieratezza, allegria, privi di incombenze e di problemi, contrapposto agli sbattimenti attuali, ai problemi di quando si cresce. Quindi mi piace raccontare in modo felice, non nostalgico, momenti prima di essere contaminato dalla società attuale. Eri più puro, più spensierato, più allegro etc. Non che adesso io sia depresso” ridiamo “intendo dire che chiaramente quando sei piccolo sei senza pensieri, senza problemi, ed è tutto più sciallo”.
“Quando il fare tardi significava al massimo una sgridata da mamma” commento. “Esatto, quando non c'erano conseguenze” ribadisce Jack, “al massimo qualche pomodoro lanciato dai balconi delle piazze di Pioltello” ride. “Cose che capitavano, grida, carabinieri, comunque conseguenze piuttosto tranquille”.
“Mi è capitato di riascoltare qualche giorno fa il brano “Guarda il cielo” di Bassi maestro, uscito ormai 7 anni fa. Gemitaiz dice “facevo l'alba insieme a La Crème” sottolineando il rispetto che lui e la sua, ai tempi, nuova generazione rap aveva per voi che c'eravate da prima” domando: “Questo tipo di rispetto lo senti anche con la generazione di adesso? Credi che questa nuova scena riconosca Jack The Smoker?” “Ma diciamo che è nuovissima la generazione attuale, non sto parlando dei Tedua o degli Ernia, se parliamo della generazione dopo ancora c'è veramente da poco” chiarisce Jack. “Per cui bastano solo questi 4 anni di silenzio che ho avuto per far sì che questi ragazzi magari non conoscano tanto il mio percorso. Quindi, onestamente, non parlerei proprio di rispetto, però può essere che ci sia il recupero storico di quello che è avvenuto prima. Questa nuova è una generazione di rottura molto più della precedente che è comunque in continuità con noi, e il fatto che Ernia abbia fatto una versione di "Puro Bogotà" lo fa capire. Con i nuovi c'è stata più una rottura quindi è difficile che vadano a raccogliere delle robe come le nostre, come magari un Tedua non si ascolta i Sangue Misto, che poi magari sono il suo disco preferito e non lo so. Ragiono sul fatto che c'è comunque un grosso distacco. Mentre la mia generazione aveva questa cosa del pagare debito alla generazione prima, ma anche al Soul, Funk, Jazz, tutta la musica Black che ha portato alla creazione della prima fase del rap, anche perché si campionavano i dischi degli anni 70, avevi anche questo tipo di interesse nell'andare a recuperare tutto il discorso Black. Magari alla generazione di adesso giustamente non gliene frega un cazzo, detto in poche parole. Quindi boh, magari sono tutti fan e non lo so. Mi avranno sentito in Machete Mixtape però il disco del 2009 immagino non lo abbiano sentito, anche perché avevano tipo 8-9 anni nel 2009, presumo eh” ride. “Si parla comunque di ragazzi di 20 anni, 18”.
Dani Faiv era un emergente quando Jack lo ha preso sotto la sua ala, in questo disco sono insieme in due pezzi, gli chiedo di parlarci del loro rapporto. “Io e Dani siamo molto simili da un punto di vista stilistico” spiega. “Anche se facciamo roba diversa, nella sua scrittura puoi sentire l'influenza della mia generazione: di Ensi, mia, dei Dogo, che vuole essere tecnica, in continuità con un discorso rap. Lui ha dato una rinfrescata a questo aspetto qua e mi ha colpito subito per la sua capacità di coniugare il nuovo e il vecchio. Poi portandolo in studio l'ho conosciuto dal punto di vista personale, è comunque un ragazzo umile, che si sa mettere in discussione. Come io da piccolo andavo da Bassi e provavo quello che mi diceva, Dani aveva un atteggiamento recettivo ed è una cosa che credo dimostri intelligenza. Lavorare con lui è stato facile, perché è iper produttivo e ti carica di entusiasmo, quindi penso che entrambi abbiamo raccolto qualcosa dall'altro ed è bello perché è un dare e ricevere il nostro rapporto. Poi siamo anche amici nella vita normale, i 10 anni di differenza che abbiamo non sono comunque un grosso limite”.
“Ultimamente ci sono sempre di più ragazzi divenuti famosi in poco tempo, con l'aiuto dei social, “saltando” passaggi che anni fa erano quasi obbligatori. Come vedi questo cambiamento?” domando. “Da un certo punto di vista buon per loro perché noi abbiamo dovuto lottare contro situazioni difficili. Il rap non era considerato una cultura credibile” sottolinea Jack, “eravamo accusati di essere dei buffoni, il linguaggio del rap non era capito, il vestiario era ritenuto pagliaccesco e in periferia ancora non si parlava il linguaggio del rap, quindi da una parte dico bene per loro perché non hanno dovuto passare tutti gli anni che abbiamo passato noi per rendere credibile questa roba... penso ai Dogo quanto ci hanno messo ad avere un contratto serio, nonostante fossero già delle icone nel 2003, 2004. È stato un lungo lavoro per me, per i Dogo, per Fibra, per Ensi, Clementino insomma c'è stata parecchia gavetta da fare. Dall'altro lato però penso: tutto questo emergere di istant idols rende la possibilità di rimanere sulla cresta dell'onda in modo credibile molto difficile, io vedo tanta gente che esplode ed implode in pochi anni ecco. Magari delle icone di 2/3 anni fa adesso sono praticamente scomparse o comunque non contano più come poco prima. Se questo fa parte del rap game di adesso è anche segnale che poca gavetta e poco “studio” ti porta magari a non riuscire ad affrontare le delusioni o comunque a non riuscire a vedere una via diversa da quella che ti ha fatto emergere. Ti rende un mono caratterista, capace di fare una roba ma quando quella sparisce cadi vittima del passare delle mode. Tendenzialmente io direi a questi ragazzi di cercare di personalizzare un po' il loro racconto, il loro percorso musicale perché se no saranno vittime del momento storico in cui sono nati. È diventato tutto più usa e getta po ci sono talmente tanti artisti che fanno cose che basta un attimo che la gente si dimentichi di te”.
“Un'altra cosa ad essere cambiata in questo ambiente è l'auto celebrazione, ne parli anche tu nel disco. Se prima era qualitativa ed incentrata su quello che si sa fare adesso è incentrata su quello che si ha e ci si può permettere di comprare. Come vedi questa direzione che l'hip hop sta prendendo?” chiedo. “Il discorso è ampio perché l'auto celebrazione fa da sempre parte del rap e anche agli albori si parlava del fatto di avere una collana” chiarisce Jack. “Io però l'ho sempre percepita con un fine di riscatto sociale, perché comunque il rap è stato fatto da persone che venivano da situazioni di quartiere, “svantaggiate”. Invece nella società attuale, che fa del materialismo il suo cardine fondante, molto spesso l'auto celebrazione sulle cose diventa un un po' fine a se stessa. Il fatto di avere una collana, il fatto di dire che c'hai i soldi è una caratteristica tipica del povero, non ho mai visto Bill Gates fare così, anzi sembra uno scappato di casa” ride. “Sono i poveri che vogliono aspirare ad essere come i ricchi mentre poi il ricco vede la roba ad un altro livello. Si cerca di emulare un modello americano molto terra terra perché magari molte persone non hanno un talento sufficiente per andare oltre. Ma infatti la gente poi si fa due risate, ti fa fare anche milioni di visual ma poi la roba finisce lì. Quando qualcuno ha qualcosa da dire in più la roba dura, è quando qualcuno trasmette qualcosa di personale, di significativo, che riesce a trascendere il momento”.
Tornando al disco, i producer che hanno lavorato alle basi di “Ho fatto tardi” sono 9, quasi uno per ogni pezzo, gli chiedo il perché di questa scelta. “Io ho sempre più o meno lavorato così” risponde Jack, “a parte il primo disco de La Crème dove eravamo io e Mace che avevamo un sogno comune e quindi era naturale fare un lavoro insieme, per intero. In seguito mi è sempre piaciuto il fatto di esplorare delle sonorità che, stando sempre nel recinto Hip Hop, fossero comunque eterogenee. È difficile trovare un produttore che regga 13 pezzi e riesca a portare una varietà sonora degna, per quanto mi riguarda. Per me è importante che la sonorità accompagni i diversi momenti del disco con diversi sound. Molto spesso un produttore, per quanto versatile possa essere, 13 canzoni non le riesce a tenere varie, c'è sempre quel minimo di piccola ripetizione, per come la vedo io, anche se abbiamo dei produttori bravissimi. Il fatto di affidarsi a Big Joe per un paio di pezzi ti da quel sapere musicale diverso che un bravissimo Low Kid non ti da perché non è il suo. Ognuno di loro aggiunge un tassello al disco, non per questo il disco deve risultare un minestrone però penso che si respiri il mio amore per il sound Hip Hop di un certo tipo. Ci sono pezzi come “Non ho mai” e “calamita” che hanno un sound molto diverso tra di loro. Quello che voglio fare è rendere omogeneo il tutto, è un'insalata di riso con tanti ingredienti che stanno bene assieme” ride “tanta varietà ma non a caso. Sempre sound Black, Hip Hop ma con diverse sfumature. Un discorso simile vale anche per i featuring, ho cercato di mettere feat che avevano una logica. Non volevo mettere il nome a tutti i costi con beat a caso giusto per averlo. Izi ce lo vedo bene con Low Kid per come sa rappare, per il flusso che ha anche nei suoi dischi. Dani Faiv me lo sono immaginato su Strage e su Frenkie G i suoi due produttori, Lazza con Low kid... sono cose che nascono anche da rapporti reali, ti becchi in studio e ne si parla insieme”.
Come ultima domanda cambio discorso e mi sposto su un dettaglio che mi ha colpito a primo impatto: “Nella prima traccia, “Foto”, inizi con “emme i, elle a, enne o”, quindi Milano. Nel disco sono presenti un feat con Jake, uno con Lazza, entrambi di Milano come te, Izi che esordisce anche lui citando questa città. Il legame con Milano rimane fortemente nei tuoi pezzi, cosa ha dato questa città a Jack the smoker e cosa pensi, dopo tutti questi anni, abbia dato Jack the Smoker a questa città?”
“Emme i, elle a, enne o” è molto Milano anni 2000, il beat di “Foto” inizia con la batteria anni 2000, quel pezzo è l'essenza di quello che vedo nel sound di Milano” afferma. “Un pezzo che si evolve in un'atmosfera più trap però con del sentimento, quindi mi è venuto proprio naturale lasciarlo, anche se fa un po' old però ci sta, sto celebrando Milano come città che a me ha dato tanto. Qui ho costruito la mia credibilità a partire dalle battle di Freestyle, a partire da quello che faceva Bassi Maestro che si chiamava Show Off nel 2003 dove mi sono conosciuto coi Dogo, ho conosciuto Marra, Mondo Marcio, un sacco di persone che poi sono diventate mie amiche e hanno fatto un pezzo di percorso con me e adesso magari non rappano più. Sicuramente la mia città mi ha aiutato a uscire un po' da Pioltello la periferia dove ho passato anni della mia vita e dove c'eravamo un po' isolati. L'incontro con Milano è stato il momento in cui abbiamo capito che c'era qualcun altro che faceva questa roba, c'era qualcun altro con cui confrontarsi e poi c'era Bassi che comunque era un po' l'idolo di quando ascoltavo musica da ragazzino, abbiamo fatto tante cose assieme. Io credo di aver dato a Milano qualcosa a livello stilistico, nel senso che, per un lungo periodo ma anche tutt'ora la gente ha riconosciuto il mio stile come unico, il mio modo di cantare le parole, di fare punch lines, quindi Milano si è presa un pezzo del mio stile e per un buon periodo vedevo tanti rapper che comunque hanno evoluto quella cifra stilistica che penso di avere, se non iniziato, innalzato io. Nello stesso Dani Faiv, in senso positivo, vedo un modo di incastrare anche legato al mio modo di fare rap, che non vuol dire ovviamente che stia copiando, è roba diversa. Però il modo di usare le parole, i doppi tempi, sono robe di cui in parte prendo la paternità. Sentire Nerone che fa “Milano è Jake, Milano è Jack, Milano è Bassi” mi ha dato un piacere immenso, è un tipo di riconoscimento che la mia città mi ha dato sempre e sono contento di rappresentarla ancora, magari al giorno d'oggi si rappresentano di meno le città è una roba più di qualche anno fa però è bello comunque rendere la roba più vissuta: parli di città, parli di contesti di quartiere, parli comunque di qualcosa di concreto e meno globalista, mi piace di più come viaggio”.